Pupi Avati e il coraggio dell’irragionevolezza

Un distillato di umanità. È l’essenza dell’incontro odierno di Pupi Avati al Teatro Sociale di Alba in occasione del premio “Maestro di Bere il Territorio” attribuito al regista bolognese da Go Wine. Il concorso è l’occasione per segnalare giovani autori capaci di descrivere efficacemente il rapporto tra vino e territorio (quest’anno Martina Amaro e Giovanni Graglia)

Introdotto dal giornalista Bruno Quaranta, sul palco accanto a Giorgio Barberi Squarotti, Gian Luigi Beccaria, Valter Boggione e al presidente di Go Wine, Massimo Corrado, Pupi Avati ha condiviso emozioni, pensieri e ricordi traendo spunto dall’autobiografia La grande invenzione edita da Rizzoli.

«Il mio sogno – ha confessato – era quello di essere amato: desiderio assolutamente legittimo per ogni uomo. Così ho intravisto nel cinema la possibilità di raccontarmi ed essere apprezzato». Un artificio ripreso oggi ad Alba e arricchito con massicce dosi di libertà di spirito, davanti a una platea attenta di adulti e ragazzi.

Ugo Tognazzi, ha rivelato, usava la tecnica della confidenza estrema, intima e spiazzante, per entrare direttamente in relazione con l’interlocutore, frantumando ogni barriera psicologica e sociale. Pupi Avati ha agito allo stesso modo, confidando con candore certezze profonde acquisite a 75 anni. «Preferisco raccontare le cadute invece del successo, le sconfitte anziché le vittorie, perché la vulnerabilità è la più alta qualità del genere umano». Una caratteristica che accomuna vecchi e bambini, perché “la vita è come un’ellisse”. Nel primo quarto, subito dopo la nascita, tutto è possibile, tutto è per sempre. Nel secondo quarto, diventando adulti, subentra la tossicità della ragionevolezza e si fanno i conti con la realtà, fino a raggiungere il punto più elevato del tracciato, perpendicolare rispetto alla nascita, e scollinare per entrare nel terzo quarto. È questo il tempo dei sogni infranti che induce a ripiegare sulla nostalgia, a rifugiarsi nel ricordo, e constatare amaramente che nulla è per sempre. Fino a quando con la vecchiaia – quarto quarto – ci si riavvicina alla fanciullezza, si spalanca nuovamente il mondo delle ipotesi assurde eppure possibili, non si dà più retta alla ragione, e si torna a casa.

La vita per Pupi Avati, dunque, va affrontata in modo irragionevole. «La forza dell’essere umano consiste nell’illudersi di essere eccezionale, di considerarsi un prescelto. Mentre vendevo ai supermercati bastoncini di pesce surgelati io già sapevo che avrei girato 45 film.  A 14 anni ho letto la biografia di Leon Bix Beiderbecke, uno dei più celebri jazzisti bianchi degli States, e mai avrei potuto immaginare che in seguito avrei acquistato la sua casa, trasformata in museo e raccontato la sua vita in un film. Eppure è accaduto!»

Pupi Avati ha concluso con un accenno ai 50 anni di matrimonio con Nicole, a giugno di quest’anno. «È meraviglioso avere accanto a sé una persona che sa tutto di te, come nessun altro mai. La famiglia è fondamentale, io debbo tutto alla mia famiglia. La qualità degli italiani deriva dalla qualità delle famiglie e ho cercato di spiegarlo attraverso un film ricevendo apprezzamenti straordinari dalla gente. Quando cinquant’anni fa ho detto di sì a mia moglie davanti all’altare, promettendo che le sarei rimasto accanto per sempre, senza la minima idea di cosa volesse dire, ho fatto una scelta irragionevole, ma ha funzionato». Perciò continuiamo a sognare l’impossibile, senza arrenderci.

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