“Evviva l’ASL TO3”, a Rivoli le fiamme avvolgono anche la comunicazione

Venerdì 29 aprile sul piazzale del Castello di Rivoli si è svolta «Evviva l’ASL TO3», manifestazione finalizzata a sensibilizzare la popolazione, e in particolare i più giovani, sulle attività di primo soccorso, con la partecipazione di circa duemila studenti delle scuole di Rivoli e Villarbasse.

Tra gli eventi in programma era prevista la dimostrazione dello spegnimento di un furgone in fiamme; durante la simulazione il mezzo, già avvolto dal fuoco, ha iniziato a muoversi autonomamente, sfruttando la pendenza del piazzale e dirigendosi verso alcune piante, prima di essere bloccato dai vigili del fuoco che hanno poi spento l’incendio; il tutto è stato ripreso in un video girato da uno spettatore e condiviso sui social.

Fin qui i fatti. Per chi si occupa di comunicazione, questa vicenda è interessante per rilevare come i social network vengano utilizzati per attaccare l’informazione professionale e sostenere una posizione di parte. Infatti, le testate giornalistiche hanno ovviamente raccontato l’accaduto, trattandosi di un fatto rilevante per il pubblico (definizione di notizia), e quasi tutte hanno evidenziato l’anomalia di quanto successo, riprendendo anche un comunicato ufficiale del comando dei vigili del fuoco di Torino che parla di «ragioni di umana amarezza che hanno portato a molti commenti negativi».

Sui propri profili personali i responsabili dell’evento, che ricoprono anche ruoli dirigenziali nella ASL TO3, hanno reagito con fermezza per difendere il loro operato, condividendo gli articoli ritenuti “corretti” (con le loro dichiarazioni) e i post di “sostenitori” che contengono frasi come «nessuno sa più fare il giornalista» e «di giornalisti veri, con la G maiuscola, ne sono rimasti ben pochi», e riferimenti a «ipocriti poco facenti» e «leoni da tastiera». Si è riprodotto un meccanismo tipico dei social network, ovvero la creazione di una «camera d’eco» caratterizzata da intolleranza nei confronti delle opinioni diverse; è stato eliminato ogni spazio di confronto e nessuno ha pensato di scusarsi.

Ci si può domandare se questa aggressività sia prodotta dalle dinamiche tipiche dei social network, oppure se questi canali abbiano semplicemente amplificato un fenomeno preesistente; propendo per la seconda ipotesi perché ritengo che da molti anni la nostra società stia degradando verso forme sempre più marcate di violenza.

In ogni caso, rispetto a questa vicenda è utile evidenziare i seguenti aspetti:

– Si è persa la capacità di dialogare e, di conseguenza, diventa sempre più difficile giungere ad una verità condivisa, che deriva necessariamente dal riconoscimento dell’altro e dalla mediazione;

– Il livello dello scontro sociale aumenta costantemente, si creano tifoserie contrapposte e viene minata la pacifica convivenza tra i cittadini;

– Mescolare profili personali e comunicazione istituzionale da parte di dirigenti pubblici incide negativamente sull’immagine di imparzialità della pubblica amministrazione;

– La velocità della comunicazione social è incompatibile con i tempi necessari per approfondire gli aspetti tecnici e giuridici di vicende complesse, e quando si giunge ad una conclusione oggettiva il pubblico non è più interessato perché già coinvolto in altri conflitti mediatici.

In questo scenario è possibile scegliere di sfruttare questi meccanismi per vantaggio personale, senza curarsi delle conseguenze negative per la società, oppure operare per arginarli, rifiutando la logica del conflitto perenne e auspicando l’adozione di norme che possano correggere questa pericolosa deriva.

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